Mi sbagliavo. 

Non era timida ne tantomeno indolente,
era solo delicata, nei modi e nel fisico, e forse già sofferente.

Hamar,
una trotter, baio, con una stupenda criniera corvina ed una lunga e folta coda che sfiorava l’erba,
occhi grandi da cerva, sguardo curioso, ed una balzana nel posteriore destro.
Aveva un odore diverso da ogni altro cavallo, più acre e pungente, più intenso.
Un po’ scoordinata nel passo, bellissima al trotto, sbadata e delicata al tempo stesso.
Il suo nome, assegnatole da Mohammed (ma questa sarebbe veramente una lunga storia),
è arabo, lingua nel quale può significare ‘asino’ oppure, in alcuni dialetti, ‘luna’.

Venne allontanata dall’allevamento nel quale era nata, benché con genitori di ottima genealogia,
in quanto probabilmente non si dimostrò particolarmente adatta alla carriera agonistica.
Effettivamente l’agonismo non sembrava fare parte di lei, o forse furono ragioni diverse.

Una vita un po’ tormentata, depositata molto giovane in una specie di cortile di uno sfasciacarrozze,
in compagnia di qualche altre cavallo ed alcuni maiali.
Arrivò a Sasso Marconi grazie ad un ‘ponte energetico’,
quei vortici spazio-temporali che si creano solo grazie a magiche congiunture,
che alcuni amici produssero al fine di creare un Centro per ippo-terapia.
Questi amici, Laura Gian-Piero ed Alessandra,
fecero alcuni viaggi al fine di individuare cavalli che potessero essere idonei a questo progetto,
e il destino li portò anche nel Nord Est Italia, al confine con la Slovenia,
dove in mezzo a ferraglia, rottami vari, e maiali, la videro.
Gian-Piero la scelse all’istante senza dubbi o ripensamenti, riconoscendola, grazie
al suo innato senso estetico ed alla sua sensibilità, come una cavalla speciale.
Il sogno del Centro non si concretizzò, ma il ponte si,
ed i cavalli, 4, rimasero sul quel ponte energetico grazie alla forza di Laura,
che resistendo testardamente alle vicissitudini riuscì comunque a tenerli, sistemarli e ad occuparsene.
 
La loro nuova casa divenne il Centro Ippico La Ginestra,
luogo nel quale Hamar incontrò molti nuovi amici.
E dove io incontrai lei.

L’avevo guardata già diverse volte, ma non l’avevo ancora veramente vista.
Non era il tipo da farsi notare e io non sapevo, non so, un bel niente di cavalli.
Da dentro il box usciva con la testa a guardarsi in giro, timidamente, senza particolari aspettative.
Da dentro i paddok preferiva non avvicinarsi troppo e rimanere in pace in un angolo,
fingendo di essere interessata ad altro, un filo d’erba oppure un’ombra d’albero.
La prima impressione fu quella di una cavalla timida, oppure indolente.

Mi sbagliavo.
E nemmeno di poco.

Fu mia moglie, Laura, a predispormi alla scoperta della vera Hamar,
forzandomi a partecipare ad un corso di equitazione naturale e consigliandomi di utilizzare Hamar,
in quanto affidabile per un principiante come me.
E forse intuendo che avremmo potuto scoprirci.
Durante questo corso di 7 giorni, Hamar dimostrò ogni ora di ogni giornata la sua assoluta, completa,
affidabilità, bontà e generosità, e furbizia.
Specialista delle ‘evasioni’, più di una volta venne trovata fuori dal paddok, a sbruchettare indipendente.
Aveva 8 anni in quel periodo.
Il giorno della passeggiata trekking nei boschi, pur non avendo un’ indole agonistica,
alla presenza di una dozzina di cavalli bellissimi provenienti da disparate specialità equestri,
fu l’unica a tenere il passo del mulo dell’istruttore nei 200 metri di ripida salita sassosa e fangosa,
sebbene con i miei 90 kg. sulla schiena.
Il consiglio dell’istruttore, Franco Giani, fu molto semplice:
‘lasciale corda! Che possa abbassare la testa e guardare dove i mette i piedi, il resto lo sa fare da sola’.
Inarrestabile e perfettamente conscia, era sufficiente lasciare fare tutto a lei.
In fondo era tutto ciò che chiedeva, che le si desse fiducia.
Ascoltandola poteva insegnarti tutto, anche come sellarla.
In realtà il corso fu solo per me, per lei fu soltanto un film già visto.
Ruscelli, guadi, strettoie, salire su gommoni, passare attraverso rumorose tende di plastica,
salite fangose e ripide discese pietrose,
nulla che la potesse turbare.

Aveva solo un piccolo difetto.
Il suo tumultuoso ventre nascondeva una complicata ragnatela di malformazioni,
in silenziosa via di inarrestabile peggioramento.

Fortunatamente Hamar aveva molti amici alla scuderia, e c’era sempre qualcuno a vegliare sulla sua fragilità,
in particolare le sue ‘Ali’, due ragazze entrambe di nome Alessandra,
poi Angela e Marco, Fabio, Patrizia, Manuela, Gabriella, Valerio, Silvia, Paolo, Leon e Barbara,
si aggiunsero Erika e Massimiliano e Livio, per un periodo loro malgrado breve,
tutte persone sempre pronte a mettere il naso nel suo box o paddok e vedere se tutto era ok,
o magari anche portarla a fare un giro.
Alessandra (detta Alessandra di Isabel , la sua cavalla, per distinguerla da Alessandra di Morositas),
sempre disponibile a trasferirla dal box al paddok, dal paddok al campone in erba, a strigliarla, a ‘farle i capelli’,
e a qualsiasi altra necessità.
Alessandra di Morositas è stata la sua insegnante di giochi ed era la sua ‘manicure e pedicure’,
si conoscevano dai tempi del ‘ponte energetico’ e hanno passato veramente tanto tempo di qualità insieme.
Angela è stata la sua amazzone per un periodo, migliorando la sua struttura muscolare ed il lavoro in sella,
e passando molti pomeriggi a lavarle la coda perennemente sporca a causa del suo instabile ventre.
Barbara la sua istruttrice di ginnastica e supervisore delle sue condizioni generali,
nonché naturalmente di quelle di tutti i cavalli della scuderia.
Fabio, con il suo Amir, vicino di box e compagno di orari alla scuderia ha vissuto da vicino tutte le sue stagioni,
con alterne sensazioni e, come me, sempre un po’ perplesso dalla sua costante incostanza intestinale.

A fine Novembre il primo attacco alla sua nuova serenità, primo per i miei occhi ma di certo non per i suoi,
due coliche in una settimana ci consigliarono il suo ricovero presso una Clinica equina al fine di poterla sottoporre a tutti gli esami del caso.
Ecografie, biopsie, analisi varie e complete ci dissero che l’intestino della cavalla era una bomba non disinnescabile.
Ne uscimmo con una pesante cura cortisonica.

Tornata a casa dopo cinque giorni di ricovero prendemmo a vederci una o due volte al giorno,
con il ferreo progetto di ………non fare un bel niente.
Pigre passeggiate alla lunghina bruchettando erba erano il nostro esercizio principale,
unitamente a qualche ‘esercizio’ di flessione del collo per rubarmi carote dalle tasche,
sgroppate e galoppate in maneggio in  libertà,
corse nei camponi senza capezza,
intervallate da un po’ di lavoro in tondino tanto per sembrare gente seria.

Il Cortisone aveva lasciato il suo mantello opaco e con varie zone completamente prive di pelo,
a Febbraio la cavalla era sotto il suo peso di almeno 50 Kg.

Ad inizio Marzo iniziammo con Alessandro una nuova cura, omeopatica,                                                                                     al fine di darle tutte le migliori possibilità di ripresa,
e magari anche di rafforzarla sufficientemente in vista del prossimo eventuale attacco di coliche.
Il Doc (Alessandro) gestì fin dal primo giorno Hamar con grande partecipazione e dedizione,
occupandosene profondamente e attentamente avviò un processo di guarigione che portò Hamar
a presentarsi ad Aprile-Maggio in splendida forma.
Ripreso il suo peso, nuovi muscoli, un mantello perfetto,                                                                                                                     voglia di giocare ed un grande amore per l’erba e per la svagatezza.

Ci deliziammo nei camponi della reciproca presenza (io sicuramente),
giocando a ‘chi scaccia via per primo la mosca’,
giocando a ‘chi muove chi’,
giocando a ‘cosa c’è nella tasca’,
un po’ di ‘giochi Parelli’,
e lavorando in tondino sulla muscolatura della sua schiena,
in particolare con Barbara per il lavoro più tecnico.

Due stagioni fantastiche.
Aveva deciso nuovamente di fidarsi e di darsi totalmente,
avrebbe potuto salire su un trailer in fiamme.
Il nostro rapporto era completamente merito suo,
grazie alla sua voglia di interagire e di affidarsi,
al suo bisogno di costanza e sostegno,
e soprattutto al suo cuore.

A metà Agosto sembrava ormai avviata ad un anno di grandi riscosse e rivincite su un passato di sofferenze non solo fisiche.
Mi sbagliavo.
Ha fatto di tutto per rimanere e abbiamo fatto di tutto per trattenerla,
sei lunghissimi giorni e notti di speranze e frustrazioni,
di sguardi accovacciati e piccole gioie,
improvvisi ottimismi e repentine disillusioni,
fra stetoscopi siringhe flebo e sigarette,
tentando di combattere quel senso di impotenza che ti schiaffeggia continuamente.

La corsa in clinica,
Le ultime remotissime speranze,
l’attesa,
l’addio.

Un grazie ancora all’organizzazione in tempi record di Barbara e del Doc,
e grazie alla disponibilità di Claudio ed Alberto del Centro Ippico Cavaioni che ci hanno consentito
di tentare l’ultima carta.

Poi, lentamente,
i ricordi prendono il posto del presente,
lasciando un pesante senso di precarietà che,
per quanto soffocante,
non riesce a superare il dolore della mancanza di un grande cuore di cavalla,
del suo odore e della sua capacità di donare gioia pura.

Ha attraversato le nostre vite come una cometa,  rapida e luminosa,
cambiando tutte le mie abitudini ed i miei orari e lasciando dietro se la scia di una stella danzante.

Ora, dopo questo anno con lei, mi sono detto che, forse,
raccontando questa breve storia di una cavalla speciale,
avrei magari trovato il modo di intravedere una sorta di lieto fine,
una qualche alchimia filosofica che potesse perlomeno in parte dare un senso
alla prematura scomparsa di una cavalla di soli 9 anni.

Non l’ho trovato.

 

Ciao Mama :*